Un’importante conversazione sui temi attuali che coinvolgono la relazione tra diverse generazioni.
RELATORI
Dott. Sergio Caretto: psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista e formatore presso IPOL
Dott.ssa Rosanna Tremante: psicologa, psicoterapeuta, psicoanalista e formatore presso IPOL
Dott.ssa Gina Luciano: psicoterapeuta, neuropsichiatra infantile presso ASL di Novara
Dott.ssa Francesca Galli: psicologa, psicoterapeuta presso ASL di Novara
Dott. Gianluca Pinnisi: assistente sociale e coordinatore del servizio sociale del comune di Novara
Dott.ssa Rossella Grandi: psicologa, presidente associazione Orientamente, referente area psico-educativa dello spazio Nòva
modera
Dott. Giuseppe Passalacqua: docente Liceo delle scienze umane, psicologo e psicoterapeuta
Il disagio giovanile è una realtà complessa e sempre più diffusa, che spesso si manifesta in disturbi alimentari, problemi di attenzione, comportamenti dirompenti, autolesionismo e difficoltà di apprendimento. Tuttavia, questo crescente bisogno di supporto non trova sempre una risposta efficace. Molte richieste di aiuto arrivano dalle scuole dell’obbligo e dalle famiglie, in cui vengono osservati i primi segnali di sofferenza.
Il ruolo dei servizi, dal sistema sanitario ai servizi sociali e scolastici, è cruciale per intercettare tempestivamente queste manifestazioni e fornire supporto. Purtroppo, il bisogno di assistenza cresce rapidamente, ma spesso non viene intercettato in tempo. È infatti frequente che le richieste di aiuto emergano solo nei momenti di crisi, quando la sofferenza è ormai acuta e più difficile da trattare. La scuola, come ambiente di osservazione quotidiana, è un canale importante per individuare i segnali di disagio, ma non sempre riesce a farsi carico di questo compito in modo sistematico, anche a causa delle risorse limitate. Erroneamente si dice che i disturbi giovanili siano aumentati con l’avvento del covid, in realtà i dati riportano una crescita limitata dal 2019 ad oggi, l’incremento reale è una costante dell’ultimo decennio.
Il percorso di supporto si avvia spesso con la richiesta di certificazioni, procedure che nelle scuole possono aiutare a individuare i ragazzi in difficoltà, ma che a volte rischiano di ridursi a un processo formale. Molti adolescenti e le loro famiglie fanno ricorso alle certificazioni, soprattutto nei passaggi scolastici, per confermare o rinnovare diagnosi e documentazioni di supporto. Tuttavia, questo ciclo di rinnovi rischia di oscurare la necessità di interventi nuovi e più completi, lasciando molte domande aperte: stiamo realmente aiutando questi giovani o ci limitiamo a catalogare il loro disagio? Ottenere una certificazione è davvero sufficiente per curare qualcuno? Oppure questa rappresenta solo una tappa di un percorso di cura più ampio? Fornire una diagnosi o una certificazione è solo un primo passo, ma non deve diventare il solo modo di affrontare il problema.
I dati recenti mostrano chiaramente l’urgenza del fenomeno. Nel 2023, i servizi sociali hanno gestito oltre 505 casi, dei quali più di 213 coinvolgevano minori e 69 riguardavano minori stranieri non accompagnati. Questo panorama sottolinea l’importanza di un approccio integrato, che metta in comunicazione famiglia, scuola e servizi territoriali per un intervento non solo curativo, ma anche preventivo. È importante che i servizi dedicati al benessere giovanile (sanitari, sociali, educativi) collaborino in sinergia e costruiscano una rete di supporto coesa e accessibile. Attivare interventi mirati nelle scuole e durante la transizione verso i servizi per adulti, come l’ASL, può essere fondamentale per garantire ai ragazzi un accompagnamento continuo e supporto costante.
La prima generazione a cui è stata attribuita un’etichetta è la cosiddetta Lost Generation o Generazione perduta, composta da coloro nati alla fine dell’Ottocento e caratterizzati da un senso di disillusione e smarrimento di fronte alla guerra, che aveva distrutto non solo interi territori, ma anche ideali e visioni di una società in continua evoluzione. Parallelamente a quest’immagine, quella dei ragazzi di oggi la si potrebbe definire Generazione sperduta. L’angoscia verso il futuro è dettata da un’elevata attenzione al presente e al passato, non efficacemente superato; gli adolescenti guardano al futuro con timore e diffidenza e con un evidente bisogno di ricostruzione e di nuovi significati. Disturbi come anoressia, bulimia, ADHD e autismo non solo riflettono condizioni individuali, ma si ricollegano a un disagio collettivo che rispecchia le dinamiche e le pressioni della nostra società.
È, però, importante ricordare che il disagio adolescenziale non deve essere l’unica lente attraverso cui guardare i giovani. Oltre al sostegno terapeutico e alle risposte immediate al malessere, è essenziale offrire agli adolescenti opportunità di crescita, spazi in cui possano sviluppare competenze e costruire una visione positiva di sé e del proprio futuro, luoghi di legame dove socializzare, raccontarsi all’altro ed esprimersi in modo tale da cambiare la narrazione e riconoscere in loro stessi una risorsa dotata di potenzialità per costruire qualcosa di significativo nel proprio percorso di crescita.
Un luogo del territorio novarese che si occupa di questo è lo Spazio Nòva, un’ex caserma militare trasformata in centro di aggregazione giovanile e di produzione culturale che offre diverse attività educative, tra le quali laboratori, workshop e supporto allo studio.
A testimonianza di quanto presentato ecco alcuni dati: da gennaio a luglio 2024 i ragazzi iscritti ai compiti sono stati 123 e 256 quelli iscritti ai 22 laboratori proposti. Questa estate gli iscritti sono stati 312 per un totale di 51 laboratori e workshop. Il 50% del target è in carico ai servizi sociali del Comune di Novara e il 20% è in incarico ai servizi di Psicologia dell’Asl. Gli operatori coinvolti nel progetto sono complessivamente 81. Si sono, inoltre, registrati 6000 accessi allo spazio.
Da settembre, gli iscritti alle attività di supporto compiti e laboratoriali sono rispettivamente 144 e 254, di cui il 40% minorenni, il 41% tra i 30 e i 18 anni e il 19% maggiori di 30. Attività di rilievo interne al progetto sono la Falegnameria e la Sartoria sociale che offrono percorsi mirati al contrasto al drop out scolastico e allo sviluppo di competenze spendibili nel mondo del lavoro per soggetti neet.
Essenziale per lo spazio è, dunque, lo sviluppo delle competenze relazionali e delle soft skills, oltre alla libertà di espressione dei ragazzi. I giovani trovano innanzitutto un luogo in cui socializzare e uscire dall’isolamento, che è la prima grande preoccupazione attuale di chi lavora o ha a che fare con i giovani.
Il disagio giovanile ha, quindi, radici profonde, spesso legate a esperienze passate che rimangono irrisolte e impediscono ai ragazzi di guardare al futuro con serenità e speranza. È per questo essenziale non limitarsi a intervenire solo quando il disagio è già evidente: occorre agire in modo preventivo, esplorando e comprendendo le cause alla base del malessere per evitare l’aggravarsi. Le scuole, insieme alla famiglia e ai servizi territoriali, sono il primo filtro importante in questo processo e devono essere coinvolte attivamente nella prevenzione. Insieme queste realtà stanno scrivendo il patto della comunità educante per il contrasto alla povertà educativa.