CAPRICCI: riconoscerli, gestirli e...sopravvivere!!!
Ma cosa sono i famosi e tanto temuti capricci?
Da sempre i capricci sono un problema che riguarda tutti i bambini e quindi tutti i genitori.
Spesso si tende a considerare il capriccio come un fenomeno che riguarda soltanto il bambino e si utilizza l’aggettivo capriccioso per descrivere una caratteristica personale del bambino; in realtà non esiste nessun bambino che faccia un capriccio per via della sua personalità o quando si trova da solo. I capricci sono manifestazioni relazionali, cioè nascono e si svolgono all’interno della relazione e mirano a modificare qualcosa di importante all’interno della stessa.
I capricci possono essere considerati un normale passaggio della crescita e dello sviluppo in età pre-scolare e non tutte le caratteristiche del capriccio dipendono dallo stile educativo adottato.
Può essere molto utile, nel decodificare questa espressione relazionale, avere in mente che i capricci sono strutturati sempre su due piani: quello esplicito, che riguarda richieste sciocche, praticamente irrilevanti per entrambi i partner relazionali (per esempio, un gelato non acquistato); e quello ben più importante, quello implicito, di cui entrambi non sono consapevoli, se non in modo piuttosto sfumato. Ciò che si gioca sul piano implicito può riguardare molti aspetti della vita mentale e relazionale del bambino e della relazione tra il bambino e l’adulto.
Quindi, alla base dei temibili capricci, ci possono essere motivazioni diverse, che potremmo definire bisogni: bisogni di base o fisici ( la fame e la stanchezza ad esempio) che sono generatori di stress; bisogni collegati al contesto di vita (in famiglia, all’asilo, al parco giochi ad esempio): alcune situazioni possono generare disagio ma i bambini non sanno dire esattamente cosa provano di fronte ad situazioni, così rispondono attraverso richieste “materiali”; bisogni psicologici legati alla crescita (sentirsi amato, bisogno di autonomia ma anche di contenimento…) poiché un bambino ha un apparato psichico ed emotivo in evoluzione e deve acquisire con il tempo identità ed autoregolazione.
Quindi cosa fare?
Innanzitutto è indispensabile che sia individuato il piano importante, quello implicito, e che le interazioni proseguano su quel piano, abbandonando quello falso di superficie.
Il compito importante dei genitori è quello di aiutare il proprio figlio a riconoscere, gestire e modulare le sue emozioni e le azioni che ne conseguono, soprattutto quando si tratta di emozioni forti. Il raggiungimento dell’autoregolazione emotiva è un processo lungo: sta al genitore facilitarlo, riconoscendo l’emozione provata dal bambino, verbalizzando ciò che sta succedendo e contenendolo anche fisicamente se fosse necessario.
Scritto dalla dott.ssa Alessandra Bertolotti